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giovedì 30 maggio 2013

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Piano pronto a progettare la nuova Torre Piloti

Andrea Plebe
Renzo Piano
Renzo Piano

Genova - Sono trascorse tre settimane dalla tragedia del porto di Genova, nove persone uccise dal crollo dellaTorre piloti, “speronata” dalla Jolly Nero. «È stato un evento spaventoso», riflette adesso l’architettoRenzo Piano guardando il mare da Punta Nave, lo “scoglio” del Ponente genovese dove hanno sede lo studio e la fondazione che porta il suo nome. Alla domanda su cosa farebbe se adesso gli venisse chiesto un contributo progettuale alla costruzione della nuova torre piloti, Piano risponde che non si tirerebbe indietro, anche se il suo sì è condizionato da molta cautela. «C’è un lutto che deve essere pienamente elaborato - dice - la sofferenza è stata ed è ancora grande per le famiglie delle vittime». La tragedia del porto ha profondamente colpito la città, la sua gente di mare, l’intero Paese.
Alla magistratura che sta indagando per individuare le cause dell’incidente, il presidente della RepubblicaGiorgio Napolitano ha raccomandato la massima celerità, ottenendo la rassicurazione del procuratore capo Michele Di Lecce. È proprio dal presidente Napolitano, a cui ha fatto visita l’8 maggio al Quirinale, il giorno dopo la sciagura, che Renzo Piano ha appreso quanto era accaduto a Genova, restando sgomento. «È stato il capo dello Stato a dirmelo, ero di passaggio a Roma da dove dovevo poi partire per Shanghai e avevamo fissato un incontro. Napolitano era profondamente colpito da quanto era accaduto. E anch’io ho subito provato quel sentimento per una sciagura terribile e anomala».
Oggi la superficie del mare davanti a Punta nave sembra una lastra d’acciaio, due navi sfilano all’orizzonte, mentre a levante lo sguardo si spinge fino alle gru del porto di Voltri. Oltre ancora, c’è il porto storico dove è avvenuta la sciagura, la notte di quel maledetto 7 maggio. «Quanto è accaduto - riflette Piano - è stato davvero terribile anche perché per chi naviga il pericolo è altrove, nel mare aperto, non certo in un bacino protetto come è il porto, da cui si parte e si approda. Ora è giusto e importante che si stabilisca al più presto la verità su quanto è accaduto, è un dovere nei confronti delle vittime della tragedia e alle loro famiglie».
Architetto Piano, dopo la tragedia e il lutto arriverà necessariamente anche il momento di ricostruire la torre piloti. L’Autorità portuale sta lavorando in questa fase a soluzioni temporanee, in attesa di realizzare una nuova struttura. Se adesso le venisse avanzata una richiesta, lei darebbe il suo contributo progettuale per quest’opera?
«Credo che il lutto della grande tragedia avvenuta a Genova debba ancora essere pienamente elaborato. È un po’ presto per parlare della ricostruzione della Torre piloti, c’è ancora troppa sofferenza».
Ma se le arrivasse quella richiesta, quale sarebbe la sua risposta?
«Posso dire che se mi venisse richiesto un contributo di questo genere per Genova, per il suo porto, per i suoi piloti, non mi tirerei indietro. Non l’ho mai fatto, del resto. È accaduto negli ultimi anni anche per quanto riguarda l’elaborazione del nuovo Piano urbanistico comunale, attraverso l’Urban Lab da cui sono cominciate tutte le riflessioni. Darei il mio contributo soprattutto se ci fosse la volontà e il consenso delle famiglie delle vittime, sono loro che debbono essere ascoltate e non voglio urtare la loro sensibilità».
Dopo la tragedia sono stati anche sollevati dubbi sulla collocazione stessa della Torre piloti, giudicata poco protetta, e il presidente dell’Autorità portuale Merlo sta attendendo indicazioni da parte dell’autorità marittima e dei piloti proprio sulla collocazione futura della torre piloti...
«Non credo che ci sia un problema di collocazione della torre piloti, è sufficiente guardare le esperienze degli altri porti. Ma non sta a me stabilire dove debba essere collocata. Sicuramente va garantita una posizione dalla quale si abbia modo di dominare e controllare l’intero bacino».
Di recente lei ha accolto anche l’invito del presidente della Regione a dare consigli sulla costruzione del nuovo ospedale del Ponente genovese...
«Con l’ex ministro della Sanità, Umberto Veronesi, abbiamo elaborato un’idea di ospedale, un modello che mette al centro di tutto il paziente. Un ospedale più umano, con alti livelli di comfort. Su questo tema io sono pronto a illustrare a fornire suggerimenti e riflessioni. Non spetta a me, invece, dire dove costruire il nuovo ospedale del Ponente genovese. Quello è compito della politica».
Cambiando argomento, a Londra il suo grattacielo, il più alto d’Europa, è al centro delle polemiche, lo accusano di essere vuoto, un flop...
«Ma quale flop? Affermarlo è davvero una cretinata. Innanzitutto la Shard non è finita, il cantiere si chiuderà a ottobre, ci sono ancora 800 operai al lavoro. Un anno fa, a luglio, venne decisa una cerimonia di inaugurazione perché c’era il grande evento dei Giochi olimpici, magli uffici devono essere finiti. C’è un ristorante, l’hotel Shangri-La aprirà a ottobre. I collegamenti con treno, metropolitana e autobus sono tutti funzionanti perché lì ci sono solo 42 parcheggi, una delle idee-chiave del progetto».
C’è chi sostiene che sarebbe stato meglio costruire quel grattacielo nella City, un’area più appetibile.
«Un’idea completamente sbagliata. L’ex sindaco di Londra, Ken Livingstone, ha voluto che venisse realizzato sulla sponda sud del Tamigi proprio perché era quella la parte da sviluppare, in cui portare la ricchezza di nuove attività. Siamo intervenuti su una porzione di terreno abbandonato per realizzare un edificio che accoglierà ogni giorno alcune migliaia di persone. Le critiche alla Shard e anche al nuovo tribunale di Parigi, dove sta cominciando il cantiere, hanno degli elementi in comune...».
Quali, architetto?
«Ogni volta che fai una cosa nuova, diversa, ci sono delle lobby che si scatenano automaticamente. A Parigi, per interesse corporativo, una parte di avvocati si è opposta al nuovo palazzo di giustizia a Clichy. Collocare in periferia un edificio che è espressione della civiltà vuol dire fecondare la periferia, combattere il deserto affettivo delle banlieue. È inevitabile che ci siano opposizioni, come accadde 40 anni fa per il Beaubourg. L’unico vero giudice per capire se un edificio è amato o no è il tempo».

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