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lunedì 27 maggio 2013

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Trattativa Stato-mafia, al via il processo Mancino: non posso stare qui con i boss

ANSA
L’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino saluta il procuratore della Repubblica Francesco Messineo nell’aula bunker del carcere Pagliarelli al processo sulla trattativa Stato-mafia

Prima udienza nell’aula bunker
di Palermo: alla sbarra ex vertici
del Ros, capi delle cosche e politici
L’ex ministro contestato a fine udienza dai militanti di “Agende rosse” che gli gridano: “Vergogna!”
PALERMO
Proprio nel giorno del ventesimo anniversario della strage di via dei Georgofili a Firenze, avvenuta il 27 maggio del 1993 e che fu un altro messaggio di Cosa nostra alla politica, a oltre mille km di distanza ha preso il via questa mattina, nell’aula bunker del carcere palermitano di Pagliarelli, davanti ai giudici della corte d’assise, il processo sulla trattativa tra Stato e mafia. Sul banco degli imputati esponenti dello Stato e di Cosa nostra.  

Sono dieci gli imputati: i capimafia Totò Riina, Leoluca Bagarella, Antonino Cinà, ma anche l’ex senatore Marcello Dell’Utri,l’ex Presidente del Senato Nicola Mancino, gli ex vertici del Ros Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, il pentito di mafia Giovanni Brusca e il collaborante Massimo Ciancimino. Quest’ultimo è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e calunnia all’ex capo della polizia Gianni De Gennaro, mentre Mancino, deve rispondere di falsa testimonianza. Per tutti gli altri otto imputati il capo d’accusa è di violenza o minaccia a Corpo politico dello Stato. Il processo è stato rinviato al 31 maggio e quando è uscito dall’aula manifestanti del movimento delle Agende rosse hanno contestato l’ex ministro dell’Interno Mancino. «Vergogna, vergogna», hanno gridato i dimostranti, una ventina, che in precedenza avevano scandito anche «Fuori la mafia dallo Stato».  

Durante l’udienza la Procura ha preannunciato che contesterà una nuova aggravante all’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, imputato di falsa testimonianza nel processo per la trattativa Stato-mafia. Dal canto suo, Mancino si è lasciato andare ad un duro sfogo: «Non posso stare nello stesso processo in cui c’é la mafia». L’ex ministro ha spiegato che chiederà lo stralcio della sua posizione. «Io ho combattuto la mafia e non posso stare insieme ai boss della mafia in un processo. Che uno per falsa testimonianza debba stare in Corte d’assise non lo accetto. Comunque ho fiducia e speranza che venga fatta giustizia e che io esca a più’ presto dal processo». Sulla richiesta di stralcio, il procuratore di Palermo Francesco Messineo ha spiegato che «quella di Mancino è una posizione che già era stata espressa nel corso dell’udienza prelimnare e sulla quale c’è stata già una pronuncia provvisoria». «Ritengo che la difesa di Mancino saprà svolgere egregiamente il suo compito proponendo quei temi che ritiene adeguati per il cliente». Due posizioni sono invece già state stralciate. Si tratta dell’ex ministro Calogero Mannino e del boss Bernardo Provenzano. Il primo ha scelto il rito abbreviato mentre il capomafia, a causa delle sue condizioni di salute, viene giudicato in un processo parallelo davanti al gup Piergiorgio Morosini.  


Il processo è stato rinviato a venerdì. Lo ha deciso il presidente della Corte, Alfredo Montalto, accogliendo una richiesta del Pm, che ha fatto presente di aver bisogno di un termine prima di esprimere il proprio parere sulle domande di costituzione di parte civile, dato l’alto numero delle istanze. Oggi hanno chiesto alla Corte di costituirsi parte civile la Regione Toscana, il Comune di Firenze, l’associazione Vittime dei Goergofili e altre associazioni antimafia toscane, l’associazione Addiopizzo di Palermo, l’associazione Giuristi democratici, l’associazione Libera di don Luigi Ciotti, Salvatore Borsellino a titolo personale (è già presente col movimento delle Agende rosse), i familiari dell’eurodeputato della Dc Salvo Lima, ucciso dalla mafia nel 1992, e dal Comune di Palermo nei confronti di Nicola Manino, unico imputato riguardo al quale l’amministrazione non era stata ammessa dal Gup.  

Sono complessivamene 178 i testimoni citati dalla Procura, tra i quali il Capo dello Stato Giorgio Napolitano e il Presidente del Senato Piero Grasso. Mentre l’associazione Libera ha già fatto sapere che chiederà di costituirsi parte civile. L’accusa è sostenuta dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi e i pm Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene. In un primo momento c’era anche Antonio Ingroia, poi partito per il Guatemala. In aula anche Massimo Ciancimino, che ha avuto un breve dialogo con Salvatore Borsellino. «Gli ho fatto le condoglianze per la morte di Agnese», ha spiegato il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo. Tra gli imputati ha preso posto anche il generale Antonio Subranni, ex comandante del Ros dei carabinieri.  

Secondo i magistrati che rappresentano l’accusa del processo, la trattativa tra pezzi dello Stato e i vertici di Cosa nostra sarebbe iniziata nella primavera del 1992, cioè subito dopo l’omicidio dell’eurodeputato Dc Salvo Lima e sarebbe proseguito almeno fino al 1994, il giorno del fallito attentato allo Stadio Olimpico di Roma dove Cosa nostra voleva uccideere centinaia di Carabinieri. A prendere i primi contatti con esponenti della mafia corleonese sarebbero stati, appunto all’inizio del 1992, l’allora colonnello del Ros Mario Mori e dall’allora capitano Giuseppe De Donno, che chiesero di vedere Vito Ciancimino, l’ex sindaco mafioso di Palermo, che aveva contatti con Totò Riina e Bernardo Provenzano. Al centro del processo le telefonate tra l’ex consigliere giuridico del Capo dello Stato Giorgio Napolitano, Loris D’Ambrosio, morto la scorsa estate, e l’ex Presidente del Senato Nicola Mancino. Colloqui telefonici iniziati il 25 novembre del 2011 e proseguiti fino al 5 aprile del 2012, e tutte intercettate dalla Procura di Palermo.  

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