CRONACA
28/02/2013 - IL ROGO IN FABBRICA
Tragedia alla Thyssen, in appello
condanna ridotta a 10 anni all’ad
Proteste in aula dopo la sentenza
Pene diminuite anche per gli altri cinque imputati. I giudici: non c’è stato dolo, ma fu omicidio colposo
con colpa cosciente. Rabbia e
lacrime dei parenti degli operai
con colpa cosciente. Rabbia e
lacrime dei parenti degli operai
Pene ridotte per tutti gli imputati: è questa la decisione della Corte d’assise d’appello del Tribunale di Torino, oggi in aula per il verdetto del processo per la morte dei sette operai della ThyssenKrupp nel rogo che il 6 dicembre 2007 divampò nella linea 5 dell’acciaieria. Il presidente Gian Giacomo Sandrelli ha letto la sentenza che ridetermina la condanna dell’amministratore delegato in dieci anni, ma soprattutto cancella il reato di omicidio volontario con dolo eventuale. Fu, invece, omicidio colposo con l’aggravante della colpa cosciente.
Harald Espenhahn, condannato in primo grado a 16 anni e mezzo di carcere per omicidio volontario con la formula del dolo eventuale, godrà quindi dello sconto di pena così come le altre cinque persone alla sbarra: sette anni a Marco Pucci e Gerald Priegnitz, entrambi membri del board esecutivo dell’azienda, nove al responsabile tecnico Daniele Moroni, otto anni e sei mesi a Raffaele Salerno, direttore dello stabilimento di Torino e otto anni a Cosimo Cafueri, responsabile della sicurezza dell’impianto di corso Regina Margherita. Sparisce quindi il profilo doloso dell’incendio, tranne che per l’art. 437 del codice penale: sotto questo aspetto, al manager tedesco e agli altri imputati viene confermata la condanna di primo grado per omissioni dolose di norme anti-infortunistiche.
«Maledetti», «questa è la giustizia italiana», «che schifo», «vergogna»: è la reazione, dopo la lettura del verdetto, dei familiari , che hanno deciso di occupare la maxi aula del Palazzo di Giustizia in segno di protesta. «Non accetteremo mai questa sentenza, così hanno ammazzato di nuovo i nostri figli», hanno continuato ad urlare genitori, mogli e sorelle, che hanno chiesto anche di incontrare il ministro della Giustizia. «Se non verrà, andremo noi dal Presidente Napolitano. Non capiamo perché siano state ridotte le pene – ha aggiunto Rosina Platì, madre del 27enne Giuseppe Demasi - non è emerso nessun elemento nuovo durante il secondo grado». Ai parenti e agli ex colleghi delle vittime si sono aggiunti alcuni aderenti di un’organizzazione di estrema sinistra, l’ex collettivo comunista piemontese che ha recentemente preso il nome di riscossa proletaria.
Il pm Raffaele Guariniello - che con il procuratore generale Marcello Maddalena ha cercato di mediare - ha dichiarato che si tratta comunque di «una sentenza storica» perché ha comminato pene elevate per i massimi dirigenti italiani della multinazionale tedesca». «Speravamo nel dolo eventuale. È stata riconosciuta la colpa cosciente ma noi avevamo posto ai giudici una domanda: quanto vale la vita di un uomo? La risposta è stata 10 anni. Non ne sono mai stati dati tanti – ha aggiunto –. È un messaggio alle imprese: devono fare prevenzione. Altrimenti arrivano condanne che non sono coperte dalla condizionale».
Amareggiato anche Antonio Boccuzzi, unico scampato al rogo e ora parlamentare del Pd. «Non mi spiego perché non sia stato riconosciuto il dolo – è il suo commento a caldo –. Vivo la stessa delusione dei familiari e mi auguro comunque che l’impianto delle motivazioni possa rappresentare un precedente utile e servire in altre cause di incidenti sul lavoro». Pesanti poi le accuse rivolte dall’ex operaio e sindacalista Ciro Argentino al vicesindaco di Torino, Tom Dealessandri «che ha garantito alla Thyssenkrupp lo scivolo degli operai per non avere il processo».
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